La storia dell’olivo
La storia dell’olivo
…quel che raramente troviamo nei libri dedicati all’olivo.
L’origine dell’Olivo, genere Oleae L. comprende varie specie tutte localizzate nell’antico mondo in regioni tropicali e subtropicali. Manca in America. Esistono invece delle Oleae in Africa, in Asia, in Oceania, in Nuova Zelanda e nella Nuova Caledonia (Nouvelle Caledonie, territorio francese situato nell’Oceano Pacifico, vicino all’Australia).
Una sola specie, l’Olea europea L. viene coltivata in grande scala in tutta la regione mediterranea sin dall’antichità per l’olio fornito dai suoi frutti. Da più di un secolo e mezzo la sua coltura è stata introdotta in America, in Sud Africa e in Australia.
L’origine di Olea europea è incerta. Si suppone che la coltivazione abbia avuto nascita in Palestina o ancora più a Est. La coltivazione si estende difatti a sud del Caucaso, all’Iran, all’Anatolia (odierna Turchia), alla Siria, alla Mesopotamia, ai paesi arabi, al Punjab (India al confine con Pakistan).
La maggior parte dei nomi che viene dato all’olivo in Asia è di origine semitico. Gli antichi egizi già lo coltivavano ma è dal tempo di Omero che la sua coltivazione risulta molto diffusa in Grecia. Da lì si è sviluppata in Italia con testimonianze risalenti al VI sec. a.C. Varie ipotesi spiegano la sua diffusione nel Nord Africa, al sud della Gallia fino alla penisola iberica. Attualmente esistono un migliaio di varietà coltivate. Ogni regione ha le proprie. Si ignora invece se queste varietà abbiano origine da poche altre cresciute in regioni particolari e da dove in seguito si sarebbero propagate oppure se esistono varie domesticazioni legate ai vari territori.
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Il problema centrale quando si parla della storia dell’olivo è l’origine, che è in effetti molto complessa. Olea europea L. è una specie collettiva che raggruppa un gran numero di varietà migliorate e moltiplicate per talea o per innesto, non conosciute allo stato selvatico. Queste varietà si conoscono dal loro portamento, dalla forma delle foglie e per i loro frutti. Vengono spesso riunite sotto l’appellativo di Olea sativa (Olea europaea L. subsp. Europea var. europaea; Oleaceae) mentre viene riservato il nome di Olea Oleaster per piante spontanee, cespugliose, spesso con spine e con frutti generalmente molto piccoli. Queste forme sono molto diffuse in Spagna, Portogallo, Nord Africa, Sicilia, Sardegna, Crimea, Caucaso del Sud, Armenia, Siria, ecc.
In Algeria viene loro dato il nome di oleastro (olivastro), spesso sono dei butti di antiche piante o di semi sparsi di olivi coltivati da cui la maggior parte possono ibridarsi tra loro. Si potrebbe andare ancora avanti nella storia dell’olivo ma questo serve a farci capire che Olea europea L. appartiene a un gruppo di piante coltivate di varietà nate per mutazione o ibridazione e adattatosi per coltivazione ad alcune condizioni per le quali i parametri principali sono: clima, suolo, calore e luminosità.
Fu l’uomo del quaternario a mettere in origine Olea in coltura. L’Olea che aveva ovviamente un mesocarpo carnoso oleaginoso così come fece l’uomo quaternario africano con le palme Elaeis dal quale veniva ricavato un olio commestibile. Ma l’Olivo rispetto all’albero di palma ebbe ed ha il vantaggio della sua propagazione per talea dai suoi ovoli (come noi vediamo i polloni sulla ceppaia così i nostri antenati si accorsero che dagli ovoli crescevano piante identiche alla pianta madre).
In Italia vantiamo il più ricco patrimonio di varietà al mondo; le varietà sono tutte dislocate localmente, non casualmente perché frutto di selezioni avvenute nei secoli dagli uomini che ovviamente si sono basati sul comportamento delle piante (produzione, crescita, resistenza ai parametri di cui sopra e, ovviamente, in base alla quantità di olio contenuto nelle drupe o alla dimensione delle stesse – olive da mensa-). Tutto ciò ha creato ciò che potremmo chiamare in termini tecnici un legame “genotipo-ambiente” (o “cultivar-territorio”).
Verosimilmente, è da più di 6000 anni circa che numerose varietà di Olea europea sono state trasportate su imbarcazioni o per carovane nel corso di migrazioni e invasioni. Così si suppone che l’Olea fu sciamata sulle due rive del mediterraneo partendo dall’Asia minore. Solo in seguito apparirono nuove varietà laddove l’olivo era stato introdotto e coltivato e le sue varie nuove morfologie dettero lo start non solo di razze coltivate ma anche dell’olivastro, apparentemente selvatico.
L’inizio non avvenne in vari punti della regione mediterranea ma è esistita una culla dove questa cultura e questa culla si trovavano, laddove dovevano coesistere le forme di Olea chrysophylla che regalava frutti un po’ più carnosi.
Altra curiosità è quella che Linneo non ha dato nessuna precisazione sulle piante che egli ammetteva sotto questo specifico vocabolo; non senza dubbio vi faceva rientrare tutte le varietà di Olivi conosciuti a quel tempo, compreso l’Olivastro. L’unica altra specie Olea che Linneo conobbe fu senz’altro Olea capensis L., pianta completamente diversa da Olea europea e sylvestris.
Ma la complessità dell’Olivo ha dato, e dà, del filo da torcere agli studiosi tant’è che le parole del prof. Girolamo Caruso ci ricordano quanto segue e sono a tutt’oggi valide:
“L’egregio botanico Agostino Todaro, professore nella R. Università di Palermo e direttore dell’annessovi Orto botanico, mi scriveva, nel dicembre del 1877, di aver seminato le drupe dell’oleastro, e di averne avuto alla prima generazione una pianta consimile; ma egli ignora se, riseminandolo, degeneri in olivo comune. Per continuare l’esperimento occorrono molti anni, e non basta al certo la vita di un uomo. Sarebbe, però, interessante e utile per la scienza, che queste esperienze venissero portate a fine. Nulla vi ha dunque di accertato fino ad ora; e di sicuro, questo solo sappiamo, che seminando, per esempio, 1000 olive selvatiche, 999 produrranno probabilmente degli oleastri, ed una sola darà origine ad una pianta meno rustica, che forse si allontanerà alquanto dalle forme native; invece, seminando 1000 olive domestiche, si potrebbe anche avere un solo individuo che non si dilunghi dal tipo materno, e gli altri 999 degenereranno con certezza in altrettanti olivastri. Siffatta instabilità di caratteri nell’olivo domestico, a fronte dell’oleastro, ci proverebbe che questo è il vero tipo naturale e primitivo, doveché l’olivo domestico rappresenta il tipo artificiale ottenuto con l’arte.”
Ecco che oggi si contano circa 2000 varietà sparse per il mondo. Dai tempi di Catone, Varrone, Virgilio, Columella, Plinio, Macrobio e Palladio, (i quali iniziarono la classificazione degli olivi in maniera sistematica) l’Olivo ha tracciato un solco sulla sua strada e ancor’oggi questo solco è lungi da essere colmato, nonostante sia condotto, aiutato e martoriato dalla mano dell’uomo.
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