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Varietà del melo

Le varietà di melo sono numerosissime. Naturalmente la loro scelta dipende dai gusti di ognuno, ma per la coltivazione hobbystica è importante dare la preferenza a quelle più resistenti, perché le avversità che colpiscono il melo sono numerose e richiedono frequenti interventi di protezione. Non è sufficiente scegliere le vecchie varietà, perché alcune sono state abbandonate proprio per la loro suscettibilità ad alcuni parassiti. Particolarmente interessanti sono le varietà resistenti alla ticchiolatura, anche quelle di nuova costituzione, in quanto permettono di evitare i numerosi trattamenti necessari per il controllo di questo fungo.

Alcune varietà non sono disponibili per gli hobbysti. Si tratta delle varietà Club, soggette a tutela. Chi detiene i diritti sulla varietà ne cura anche l’immissione in commercio e fornisce le piante solo a chi stipula con lui un contratto di coltivazione. La varietà di questo tipo più conosciuta è la Pink Lady, ma sono Club anche la Evelina, la Kanzi e la Kissabel.

Quando si coltivano meli è indispensabile associare almeno due varietà diverse, per assicurare l’impollinazione incrociata. Soprattutto se non ci sono altre piante di melo nelle vicinanze! Un’altra soluzione è quella di allevare due varietà sulla stessa pianta praticando un sovrainnesto secondo le modalità dell’innesto a triangolo.

 

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Forma di allevamento e potatura

Il melo risponde bene a diverse forme di allevamento. Quella più comune è il melo allevato a fusetto che richiede 7-9 m² per pianta e una distanza di 1,5-2 m fra una pianta e l’altra.

Altre forme di allevamento utilizzabili sono la palmetta e il Solaxe (o Taille longue) che asseconda la naturale crescita della pianta e le fa assumere una forma che ricorda quella di un salice piangente. Negli ultimi anni si sta affermando una forma di allevamento mutuata dalla vite: il Guyot. L’asse della pianta viene deviato a 90° C a circa 1 m di altezza e la produzione si ottiene dai rami che crescono in verticale creando una parete. Questa forma di allevamento è di grande interesse in frutticoltura professionale, perché permette di gestire i meli esclusivamente da terra, cioè senza l’uso di scale o altri attrezzi, nei cosiddetti meleti pedonabili. Per i piccoli produttori offre la possibilità di realizzare una siepe produttiva di melo.

Quando il melo si trova in un giardino si può anche allevare a vaso. Se si vuole fare questa scelta è importante cercare piante che non siano innestate su M9, il portainnesto più frequente, perché ha un apparato radicale debole (e infatti richiede sostegni) e poco adatto per ancorare al suolo una pianta a vaso.

Riuscire a mantenere la forma di allevamento prescelta facilita le operazioni di potatura annuale e permette di riconoscere più facilmente le gemme a fiore e quelle a legno. Conoscere i rami e gemme delle pomacee, e più in particolare le gemme del melo, serve a riconoscere le diverse strutture vegetali e le diverse gemme che si trovano sulle piante.

La potatura di produzione segue la stessa logica qualunque sia la tecnica di allevamento prescelta, con le inevitabili differenze legate alla diversa struttura della pianta. A questo proposito, importanti vi sono vari suggerimenti sulla potatura.

In linea generale, con la potatura invernale si eliminano le parti secche e malate e si interviene con tagli di ritorno che hanno lo scopo di mantenere compatta la chioma. Le deviazioni si eseguono sui brindilli che sono le formazioni fruttifere da privilegiare. I brindilli che hanno già prodotto si eliminano, ottenendo così lo scopo di stimolare la formazione di nuove strutture che andranno in produzione nell’anno successivo. Va poi eseguito uno sfoltimento dei brindilli residui per regolare il carico produttivo.

 

 

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La fertilizzazione

L’apporto di fertilizzanti azotati è indispensabile durante la fase di accrescimento della pianta quando è utile sostenere l’attività vegetativa, per accelerare la formazione dello scheletro.

Successivamente si interviene solo quando la crescita non è soddisfacente o la produzione è molto abbondante. In questi casi i fertilizzanti organici azotai vanno distribuiti almeno per metà dopo la raccolta per favorire l’accumulo di sostanze di riserva che saranno utilizzate nella stagione successiva dal germogliamento fino all’allegagione. L’altra metà va distribuita nel periodo a cavallo dell’allegagione.

Il calcio consente di ottenere mele dalla polpa compatta, croccante, di buon sapore e che si conversano a lungo. Questo elemento deve essere assorbito dalla pianta fin dalle fasi iniziali di sviluppo del frutticino, poiché con l’ingrossamento del frutto diminuisce la capacità delle piante di assorbirlo dal terreno. Nei terreni poveri di calcio, quindi soprattutto quelli acidi, è indispensabile concimare con fertilizzanti come il litotamnio, il carbonato di calcio e magnesio o il solfato di calcio. Oppure prevedere delle irrorazioni di cloruro di calcio durante il primo periodo di sviluppo dei frutticini, cioè durante le prime sei settimane dopo la fioritura.

Il potassio migliora la resistenza della pianta alle malattie, alla siccità e al gelo, ma anche la colorazione dei frutti. La dotazione di potassio nel terreno si può accertare con un’analisi chimica, oltre che osservando la flora spontanea. Le piante che indicano la presenza di potassio sono il farinello, l’amaranto, la romice e l’erba morella. Se mancasse il potassio si potrebbe apportare distribuendo del solfato di potassio o della cenere negli stessi periodi dei fertilizzanti azotai. Le esigenze di potassio possono essere soddisfatte anche se la concimazione azotata prevede l’uso di letame o di borlande che hanno anche un contenuto di potassio rilevante.

La fruttificazione, il diradamento e la potatura verde

Durante la fioritura è importante che l’attività degli insetti impollinatori sia intensa per favorire un’elevata allegagione, cioè la formazione di molti frutti. Anche se sembra quasi una contraddizione dopo lo sforzo fatto per favorire l’allegagione, un intervento fondamentale sulle piante di melo, spesso poco praticato sulle piante coltivate per l’autoconsumo, è il diradamento dei frutti.

Eliminare i frutti in eccesso è indispensabile per:

  • rendere stabile la produzione nel tempo;
  • evitare la produzione di frutti piccoli e poco saporiti;
  • stimolare la formazione di gemme a fiore, cioè quelle da cui si formeranno i frutti l’anno seguente.

Naturalmente il diradamento è più importante nelle annate in cui la quantità di frutticini è particolarmente elevata e nelle varietà soggette ad alternare alte e basse produzioni. L’operazione inizia circa 40 giorni dopo la fioritura, dopo la cascola naturale dei frutticini. Per ogni mazzetto fiorale si lasciano 1-2 frutticini, preferibilmente quelli centrali, eliminando dapprima i frutticini più piccoli, quelli malformati e quelli segnati dalle avversità. Nel caso in cui la pianta avesse pochi frutti (anni di scarica), si può arrivare a mantenere tre frutticini per ogni gruppo.

Il diradamento precoce effettuato subito dopo l’allegagione accentua la stimolazione della formazione di un numero elevato di gemme a fiore, ma comporta il rischio di lasciare pochi frutticini, se la successiva cascola naturale fosse particolarmente intensa.

Tra maggio e giugno si possono eseguire gli interventi di potatura verde che sono particolarmente importanti durante il periodo di allevamento. Ciò favorisce la formazione delle branche produttive. Invece, sulle piante adulte ci si limita ad interventi leggeri per eliminare i polloni (rami che si sviluppano ai piedi dell’albero o dalla radice) e i succhioni (rami vigorosi a marcato sviluppo verticale, che tendono a prendere il sopravvento sugli altri).

 

La protezione dalle avversità

Si è già detto che il melo è una pianta soggetta a numerose avversità. Pertanto, rivestono grande importanza sia gli interventi di prevenzione che gli interventi di difesa diretta. Tra gli interventi di prevenzione uno dei più importanti è la coltivazione di varietà resistenti o tolleranti alla ticchiolatura, che semplifica di molto la gestione fitosanitaria. Ciò perché permette di evitare i numerosi trattamenti di difesa (fino a 14-20 all’anno) necessari per controllare questo fungo.

Alla fine della stagione vegetativa la raccolta e l’eliminazione delle foglie cadute a terra contribuisce a ridurre il potenziale di inoculo della ticchiolatura per l’anno successivo. Un effetto simile si può ottenere irrorando le foglie cadute a terra con prodotti a base di Trichoderma spp. In generale, quindi, è opportuno intervenire secondo tecniche di pulizia a fine estate.

Se non si sono scelte varietà resistenti alla ticchiolatura, si deve prevedere un trattamento con polisolfuro di calcio prima del risveglio vegetativo e degli interventi regolari (ogni 7-15 giorni) con laminarine o un fitopreparato a base di equiseto per stimolare le capacità di autodifesa della pianta. Se poi la stagione avesse un decorso particolarmente favorevole a questo patogeno, si dovranno proteggere i frutti e la vegetazione con trattamenti a base di polisolfuro di calcio o prodotti rameici.

L’altro parassita chiave del melo è la carpocapsa. Si può intervenire coprendo le piante dopo la fioritura con una rete anti insetto oppure chiudendo i frutti in sacchetti di carta oppure organza. Questa operazione è adatta a chi possiede poche piante e richiede 30-60 secondi per frutto, vale a dire da 1 a 2,5 ore per pianta, ma evita la necessità di interventi successivi. La protezione dei frutti ottenuta in questi modi permette di evitare i danni causati da altri fitofagi come la cimice asiatica e i ricamatori.

Per abbassare la popolazione iniziale di carpocapsa si possono usare due strategie:

1. Distribuire fra ottobre e novembre i nematodi Steinernema feltiae e Steinernema carpocapsae, che ricercano attivamente le larve svernanti per parassitizzarle.

2. Oppure, applicare al tronco a fine estate dei cartoni ondulati nei quali le larve trovano un comodo rifugio. Alla caduta delle foglie i cartoni possono essere rimossi e bruciati.

I parassiti del melo non sono solo questi, ma si deve rimandare a successivi interventi sia il loro riconoscimento che la spiegazione delle tecniche di difesa biologica da adottare. Qui ci si limita a ricordare che, durante la stagione vegetativa, la raccolta tempestiva e l’eliminazione dei getti colpiti da afidi, oidio e Cydia molesta, può abbassare in modo significativo il livello di infezione/infestazione. In particolare, nel caso degli afidi, questa operazione contribuisce a rendere più efficace l’attività di controllo esercitata da insetti utili come le coccinelle, le crisope e i sirfidi.

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Raccolta delle mele

Ogni melo può produrre 25-30 kg di frutti, e questa quantità può aumentare se la pianta è particolarmente sviluppata.

Le mele si raccolgono quando hanno raggiunto la colorazione tipica della varietà coltivate. Si afferrano delicatamente con la mano, appoggiando l’indice in prossimità del piccolo e ruotando il polso verso l’alto fino a quando il frutto non si stacca dalla pianta.

Quando i frutti delle varietà a raccolta autunno-invernale sono staccati al momento giusto mantenendo integro il piccolo si conservano a lungo in luoghi freschi, come le cantine. Infatti, l’elevato contenuto in acidi organici permette, di norma, la loro conservazione per almeno 2-4 mesi.

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Dott. Francesco Beldì

Francesco Beldì è laureato in Scienze Agrarie. Si occupa di produzione orticola e frutticola biologica dal 1991. E' molto attivo nella divulgazione verso le aziende agricole e i privati e nei corsi di specializzazione post-laurea e post-diploma. E' autore di manuali di coltivazione biologica e di difesa delle piante con prodotti naturali.