Il melo: forme di allevamento e la potatura
Consigli per la coltivazione del melo
L’allevamento del melo è oggi praticato secondo forme che devono assecondare non tanto e non solo la funzionalità del singolo albero quanto quella del frutteto nel suo insieme. Sono quindi il disegno e l’architettura del frutteto, preliminarmente definiti, che impongono la scelta di una forma. Quest’ultima, però, deve anche servire a plasmare l’albero secondo il suo naturale «habitus» vegetativo ed entro lo spazio ad esso assegnato.
La scelta della forma d’allevamento, inoltre, deve tenere conto della presumibile risposta dell’albero (o meglio del binomio cultivar/portinnesto) alle condizioni ambientali, agli interventi di potatura ed alle altre operazioni colturali che si renderanno necessarie. Sarebbe illusorio e oneroso ritenere che il successivo modo di allevare l’albero possa coprire errori di progettazione e d’impostazione. O meglio, si potranno variare le tecniche di potatura od adottare trattamenti chimici (es. uso di ritardanti di crescita), ma ciò richiederà una serie di onerosi processi adattativi non sempre economicamente giustificati.
Con ciò non si vuole negare il ruolo della potatura che rimane una pratica decisiva per conseguire gli obiettivi dell’allevamento che mirano, per il melo, in particolare a:
- limitare lo sviluppo in altezza della chioma, per governare l’albero da terra;
- accelerare la messa a frutto dell’albero e quindi la produttività del frutteto;
- conseguire una elevata qualità delle mele.
In genere nei moderni meleti, l’albero, come singolarità produttiva, viene sacrificato al concetto di “filare continuo“ imposto dalla continuità delle piante molto vicine sulla fila. Le pareti fruttifere del filare, perciò, quando le chiome avranno colmato lo spazio a disposizione non offriranno soluzioni di continuità e con la potatura si potrà rimediare alle inevitabili difformità strutturali degli alberi; in tal modo verranno compensati eventuali spazi vuoti del filare attraverso un maggior sviluppo delle branche delle piante attigue. Rimane invece fermo il principio che l’albero deve raggiungere e mantenere un equilibrato sviluppo fra le diverse parti della chioma, privilegiando soprattutto quelle in basso, a foggia conforme. Così come, nell’insieme, l’intera struttura scheletrica della pianta dovrebbe somigliare più a un cono che a un fuso. In ogni caso, si deve evitare che all’interno della chioma si creino zone improduttive (per ombreggiamento o per crescita di inutili rami e/o di branche competitive, o di indesiderati succhioni) o che le restanti formazioni fruttifere vadano soggette a rapido esaurimento e invecchiamento.
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In generale, nella scelta dell’allevamento, per le file singole prevale il concetto dì semplificare al massimo la forma, e niente appare più semplice e naturale della forma a fusetto. Con uno scheletro ridotto al solo asse centrale, verticale, sul quale sono inserite un numero variabile di branche (6-8), relativamente corte (perché le piante sono molto ravvicinate nella fila). Non necessariamente sono permanenti, generalmente sono piegate o portate in posizione quasi orizzontale. In tal modo sia la chioma nel suo insieme sia le singole branche raggiungono, a scheletro ultimato, una conformazione molto equilibrata, quasi naturale. Ciò consente il mantenimento e l’efficienza nel tempo, oltre a permettere una buona distribuzione dell’aria e della luce.
Anche la palmetta, pur essendo una forma appiattita, si avvale dei medesimi concetti. Le branche non saranno più tanto lunghe da incrociarsi fino a coprire la distanza fra una pianta e l’altra, ma avranno uno spazio entro cui svilupparsi senza intersecarsi. Si vogliono così evitare zone d’ombra con eccessiva vegetazione o squilibrio fra le branche superiori ed inferiori a danno della qualità dei frutti. Un altro motivo, che spinge in generale a evitare di costituire grosse strutture scheletriche, è proprio la difficoltà di conservare un buon equilibrio nel tempo fra le diverse branche. Pur rispettando le relative gerarchie che, comunque, specie nel caso della palmetta, debbono essere mantenute nel tempo quando la chioma è spessa ed alta. Inoltre, con una struttura scheletrica complessa, la potatura di produzione diventerebbe più difficoltosa in relazione alla necessità di evitare l’invecchiamento eccessivo delle formazioni fruttifere.
Fusetto
Il fusetto è una forma che ha avuto molta fortuna in Europa a seguito della generale tendenza all’aumento delle densità di piantagione ed alla riduzione della taglia degli alberi. È applicato però con numerose varianti, giustificate dall’interazione pianta-ambiente.
Fusetto libero
E’ un metodo naturale che tiene conto soprattutto dell’habitus vegetativo.
- Nelle varietà standard sono ritenuti essenziali gli interventi di piegatura dei germogli (con pesetti o legacci), commisurati alla loro vigoria e posizione. Rimane valida, ma non subordinata, la cimatura dei germogli subapicali o terminali aventi angolo troppo stretto o che tendono a competere con la freccia. E’ confermata la necessità di praticare, in maggio, l’alleggerimento della punta, cioè il diradamento dei piccoli germogli alla sommità delle branche, togliendo i più vigorosi e ad angolo stretto. L’albero, così potato, salverà la freccia ma tenderà ad allargarsi nell’interfilare, per cui bisogna fare attenzione alla modifica strutturale dello scheletro e all’eccessivo ingombro e infittimento della chioma con le possibili negative conseguenze sulla qualità del prodotto.
- Ancora più naturali e liberi sono i criteri seguiti per l’allevamento degli spur per i quali le piegature delle branche sono sconsigliabili. Esse possono essere riorientate ed «aperte» con l’eventuale ausilio di distanziatori (divaricatori) ma non curvate con pesi e legacci se non temporaneamente durante la prima stagione di crescita. La maggior parte degli spur, infatti, si mette a frutto molto rapidamente. Pertanto, anche in fase d’allevamento può rendersi necessaria la spuntatura dei rami apicali di un anno se deboli, per contrastare la basitonia e richiamare vegetazione in alto.
Palmetta libera e anticipata
La palmetta è la forma più diffusa per l’allevamento del melo quando gli alberi sono vigorosi, e i suoli molto fertili. Le distanze sulla fila non possono essere inferiori a 2,3-2,80 m. Con sesti più ridotti la palmetta non sarebbe praticabile se non snaturandone l’assetto delle branche, dato il taglio lungo (richiesto dalla stessa potatura dì produzione) e quindi l’inevitabile intersecazione delle branche con la conseguente indesiderata concentrazione di zone vegetative.
I principi di potatura di allevamento della palmetta coincidono dì fatto con quelli descritti per il fusetto cui si rimanda. In genere la palmetta si alleva liberamente col solo taglio di raccorciamento dell’astone all’impianto (gli altri sono tagli di diradamento in inverno o di potatura verde). Ove possibile, però, si preferisce l’astone a tutta cima (senza accorciamento), purché provvisto di buoni rami anticipati di vivaio (palmetta anticipata). Naturalmente rimangono alcune differenze di metodo (es. eliminazione dei germogli vigorosi orientati verso l’interfilare). Rispetto al fusetto la potatura è un po’ più elaborata alfine di allevare branche ben equilibrate. È quindi ancora valido l’uso di almeno 3 fili (e pali) per facilitare i vari interventi (legature, ecc.) e utilizzare l’inclinazione delle branche come correttivo per regolarne la crescita. Prove di allevamento, anche recenti, dimostrano che con la palmetta la resa produttiva è molto buona fino anche a superare il fusetto sebbene al fine della qualità, il fusetto offra migliore predisposizione. Ma per le varietà vigorose tipo Jonagold, la palmetta è preferibile al fuso.
Potatura di produzione
Dalle conoscenze sopra indicate, è possibile trarre una serie d’indicazioni riguardanti le modalità di potatura di produzione, ed ai tempi di esecuzione degli interventi cesori, che devono essere adattati al tipo di habitus (es. spur o standard) della cultivar considerata ed all’epoca di esecuzione dell’operazione. Il taglio consente di modificare i rapporti tra le varie componenti della pianta (rapporto radici/chioma, numero di rami, numero di lamburde, fittezza della parte aerea, ecc.), e quindi di determinare il carico produttivo dell’albero, ed anche il livello di efficienza della chioma.
Anche l’epoca di esecuzione dell’intervento diviene importante. La potatura verde, ad esempio, è consigliata in particolare per le varietà a frutto rosso alfine di migliorare la colorazione dei frutti benché non sia chiaro quale sia il miglior momento per l’esecuzione dell’intervento, che può presentare, come rovescio della medaglia, quello di provocare una riduzione della pezzatura dei singoli frutti, a causa della diminuzione della superficie sintetizzante. La potatura del melo non deve, anche in fase produzione, indurre riscoppi vegetativi eccessivi Questi, infatti, sottraggono risorse allo sviluppo dei frutti, in particolare durante la fase di divisione cellulare (nelle prime 5-7 settimane dalla piena fioritura). Nel melo, come è stato detto, questo rappresenta un momento molto delicato per il risultato produttivo finale. Anche il problema del rinnovamento delle lamburde va visto in un’ottica di disponibilità luminosa. Infatti, non solo una elevata disponibilità luminosa favorisce il mantenimento di una buona produttività delle lamburde, ma favorisce la differenziazione e lo sviluppo di nuove lamburde, le cui dimensioni spesso sono indice di vigore produttivo.
Il melo può fruttificare bene, anche per anni, senza alcuna potatura ma col solo ausilio di un accurato e tempestivo diradamento chimico o manuale dei frutti. Questa tesi è stata sostenuta ed anche dimostrata, su Golden Delicious. Tutti gli studiosi di potatura, però, concordano sul fatto che nell’albero non potato – pur praticando il diradamento dei frutti – si ha un rapido invecchiamento ed esaurimento delle formazioni fruttifere e delle singole lamburde. E ciò penalizza fortemente la qualità dei frutti (pezzatura, colore, caratteristiche organolettiche). Dunque, la potatura di produzione deve essere ben curata ed eseguita possibilmente ogni anno. Anche al fine di evitare l’alternanza di produzione e quindi gli squilibri fisiologici che si ripercuotono negativamente anche sulla maturazione e sulla durata di conservazione dei frutti.
Una buona regola nelle moderne forme di coltivazione intensive è quella di rimuovere gradualmente, ogni anno, una quota di branche fruttifere (circa il 20-30%). Si eliminano, in tal modo, le lamburde che hanno già conseguito una doppia fruttificazione cioè, verosimilmente, al 3° e 5° anno di vita della branca portante. Sebbene alcuni autori suggeriscano una potatura del melo diversificata in base all’età delle formazioni fruttifere, viene spesso preferito un criterio più semplice basato sui «tagli di ritorno» delle branche fruttifere. Queste vengono deviate su un ramo predestinato a ripristinare un altro ciclo riproduttivo o quadriennale prima di un ulteriore rinnovo o della esportazione totale della branca stessa (Fig. 4). L’ideale sarebbe di avere, a potatura avvenuta, dal 50 al 60% di lamburde (e/o brindilli) su branchette di 2-3 anni, dal 25 al 30% su branche di 4-5 anni e solo un 10-15% su legno di oltre 5 anni. Normalmente, è difficile definire l’entità della potatura sulla base del carico di gemme miste, perché troppo diversa è la variabilità di allegagione da varietà a varietà e da zona a zona.